Con la scusa di avere qualche informazione in più sulla bella falesia di Lodrino – Luna Bösa (tra le prime “creazioni” del gruppo Aquile) abbiamo scambiato qualche parola con Francesco Pellanda; alpinista ed arrampicatore a tutto tondo ha al suo attivo diverse salite di spessore e svariate nuove vie non solo su pareti nostrane ma pure ai quattro angoli del globo. Nonostante possa vantare un curriculum davvero importante Francesco rimane ai più poco conosciuto data la sua indole umile e il suo disinteresse nel “mediatizzare” le sue realizzazioni.
1) Francesco grazie mille per la tua disponibilità. Parlaci di Lodrino: quando e come avete scoperto questa falesia?
La falesia è stata una bella riscoperta: avevo già visionato la parete all’incirca 20 anni fa ma allora l’avevo giudicata come non interessante. A quei tempi ero alla ricerca di roccia “perfetta” (come a Claro per fare un esempio) e non avevo intuito le potenzialità di Lodrino.
È solamente nel 2011 che con Ean, siamo ricapitati nel settore e grazie all’esperienza maturata negli anni abbiamo capito che c’era del potenziale. Abbiamo notato la presenza di una vecchia via in artificiale (via che solo in seguito abbiamo scoperto essere opera di Max Bognuda) ma pensavamo che il settore era stato oramai abbandonato; per questo non abbiamo perso tempo e abbiamo richiodato quella che è poi diventata Lüna Bösa, via che prende il nome della falesia. Lüna Bösa in dialetto di Lodrino significa luna frastagliata, questo era il nome che gli anziani davano alla parete per via della sua strana conformazione.
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2) Qual’è la via più significativa del settore a tuo avviso?
Difficile selezionare una via sola… forse “Gli anni di Cristo” (in riferimento alla mia età al momento dell’apertura), “M12”, “E Luce fù” oppure proprio “Lüna Bösa” sono i tiri che più ci hanno intrigato.
La cosa che in generale mi ha sempre affascinato di questa falesia è che si trova proprio a ridosso del paese di Lodrino offrendo un’ottima visuale su tutto il nucleo. Di riflesso anche gli abitanti di Lodrino avevano una buona visuale sul nostro “lavoro” e in effetti in molti ci “controllavano” e ci chiedevano ragguagli su quella attività che per loro era totalmente aliena. In pratica la falesia è inglobata nella realtà lodrinese (a differenza di molte altre nascoste sui monti): un’attività così lontana dalla routine eppure così vicina fisicamente.
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3) Avete scelto di tenere dei gradi piuttosto “stretti” (diversi 6c/6c+ potevano essere gradati 7a in altre falesie) e anche la chiodatura è abbastanza severa; sicuramente con delle scelte diverse questa falesia sarebbe stata più appetibile. Cosa ci dici al riguardo?
Per quanto riguarda i gradi ci siamo basati su altri tiri di riferimento delle falesie della Riviera (Claro, Cresciano Federica/Danilo) dove è possibile trovare un’arrampicata simile. Inoltre dopo aver chiodato e gradato le prime vie abbiamo cercato di mantenere una buona omogeneità di gradatura all’interno del settore stesso. Non credo che siano particolarmente stretti (al massimo un mezzo grado) ma chiaramente richiedono familiarità con un certo tipo di scalata; in generale abbiamo cercato di dare un grado “giusto” per la difficoltà oggettiva …alla fine dei conti a cosa serve il grado?!
Per quanto riguarda la chiodatura l’idea era di mantenerla adeguata: non troppo ravvicinata ma in ogni caso sicura. Alcuni la troveranno un poco severa ma il nostro intento non era quello di creare una falesia “di tendenza” ma piuttosto divertirci sia psicologicamente che fisicamente.
4) Chi amerà o odierà Lüna Bösa?
Sicuramente la scalata a Lodrino è impegnativa e più adatta a climbers completi: ci vuole forza fisica (e mentale), abilità nei movimenti complessi come pure nell’usare i piedi per superare le sezioni più boulderose e soprattutto bisogna essere pronti a delle vere e proprie sfide anche per risolvere i tiri più facili.
D’altro canto però offre una delle poche esposizioni Nord della Riviera (quindi condizioni accettabili anche nelle calde serate estive), è raggiungibile in poco tempo, offre un’ottima palestra per muoversi sul ripido e alcuni tiri rimangono asciutti anche se piove (e in generale la parete si asciuga velocemente).
5) Passiamo ora a conoscere più da vicino il nostro interlocutore: Francesco tu nasci come alpinista orientato all’arrampicata ma la cosa che più ti guidava è sempre stata la voglia di scoprire il mondo. Proprio per questo hai compiuto diverse spedizioni in tutto il mondo, se ti chiedo di ricordarne una, quale mi diresti?
Se devo ricordarne una in particolare sicuramente è quella del 2006 con Giovanni Quirici in Pakistan alle torri del Trango poiché è stata la più intensa ed impegnativa da molti punti di vista, dalla logistica all’obbiettivo alpinistico in sé.
Lo scopo era liberare la via “Gran Diedre Desplomado” (Piola, Schaffler, Fauquet, Delale, 1100 m/VI,6c,A4, 1987) sulla Nameless Tower. Con qualche variante siamo arrivati davvero vicini alla riuscita ma purtroppo 3 tiri non si sono lasciati domare. Inoltre durante il “vero” tentativo di 5 giorni in parete una brutta caduta ha bloccato Giovanni per 2 giorni consecutivi nel portaledge, obbligando me a salire tutti gli ultimi tiri da primo fino alla cima (compiendo per lo meno la prima ripetizione integrale della via).
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Sicuramente un bellissimo ricordo è anche la mia prima spedizione: era nel 2000 e di anni ne avevo 22. Mi sono imbarcato per la Patagonia con un team di “vecchietti” (Nicola Vonarburg, Nicola Balestra e Marco Pagani) con l’intento di salire “El Corazòn” (Ochsner, Pitelka, 1250m, 45˚, 6c, A4, 1992) sul Fitz Roy. Purtroppo il bel tempo patagonico (5 giorni di scalata in 2 mesi di soggiorno) non ci ha lasciato grandi possibilità di riuscita ma il ricordo è comunque felice.
6) Con Giovanni Quirici hai creato un forte sodalizio e insieme avete scalato molto, sia in Ticino che all’estero come ad esempio durante il trip negli USA per tentare di salire il Nose in libera; viaggio durante il quale avet salito molti altri “testpiece” come ad esempio la salita a vista della Moonlight Buttress (300m, 7b+, topo) nello Zion National Park. Tra le varie esperienze con Giovanni quale la più roccambolesca?
Sicuramente il nostro tentativo di spedizione verso il Pakistan in furgone. Abbiamo modificato un vecchio furgone VW per adibirlo a camper e siamo partiti dal Ticino con l’obbiettivo di raggiungere il Pakistan in furgone, fermandoci in varie zone lungo il tragitto. Purtroppo, dopo aver arrampicato in Italia, Grecia e Turchia, ho avuto un incidente in un paesino sperduto in Iran: come riscaldamento mi sono appeso a un blocco di sasso alla base di una parete e il masso ha deciso di cadere sulla mia gamba spezzandomela. Curato alla bell’e meglio da un medico italiano che si trovava per caso all’ospedale della zona, abbiamo deciso di rientrare comunque col furgone (niente volo Rega); il povero Giovanni ha dovuto quindi guidare per 9 giorni consecutivi per 8 ore al giorno (limite di ore al volante che ci siamo imposti).
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7) Come apritore, oltre a varie falesie, hai anche aperto un buon numero di vie lunghe. Di quali hai il ricordo più intenso?
La via Diamante Interno in Turchia è forse la più bella che ho aperto all’estero, ma in generale penso che Ritorni Notturni (parete di Sonogno,8a+,7b obbl.) sia stato “il clou” delle mie aperture sia per difficoltà che per bellezza della linea.
8) Dopo la spedizione del 2006 alle torri del Trango hai appeso “il sacco da spedizione” al chiodo e ti sei dedicato a molte altre attività: hai aperto una scuola di sci in Engadina, hai intrapreso la formazione da Guida alpina ma soprattutto hai “messo su famiglia”. Cosa ti manca del periodo delle spedizioni?
Le spedizioni di per sé non mi mancano: è stato un periodo della mia vita che si è concluso. Quello che forse rimpiango sono le giornate ad arrampicare senza preoccupazioni: scalare e poi passare la serata con “i soci” senza orari, senza dover pensare ad altro, in completa spensieratezza.
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9) E quali sono i tuoi obbiettivi ora? Lavorare come Guida?
Principalmente mi interessa portare clienti a sciare e a scalare; ma il mio progetto più ambizioso è sicuramente preparare dei clienti per le ferrate più ambizione senza però mai doverle fare (ride ndr).
10) Penultima domanda: ti senti più alpinista,climber,geomatico,ma
climber!!
11) E infine: qual’è il tuo motto?
Essere, non voler essere.